venerdì 9 dicembre 2016

Paranoie da traduttrice






Ogni volta che chiudo una traduzione entro i limiti della data di consegna, la temuta "Deadline" , spengo il computer giurando a me stessa che per un mese almeno non voglio più saperne di traduzioni impegnative. Anzi stabilisco proprio di bandire ogni impegno troppo serio col mondo. 

L'incubo della Deadline che incombe, crea una sorta di potente propulsore di spinta che ti fa inserire il Nos. Attiva tutti i tuoi sensori (ma non li avevi già spremuti ben bene?) e tu sei vigile come un generale della Gestapo catapultato in un' altra epoca, per fortuna però, impegnato in una causa diversa.

Quella data genera angoscia, tachicardia e regala lunghissime nottate in bianco davanti allo schermo che riflette un paio di occhiaie scure in un viso tirato. A quel punto, dopo aver ricontrollato tutto quanto per la novecentesima volta e aver salvato il file in ogni angolo del computer, eccoti lì a pigiare sul tasto Invio. Ed eccoti esausta e prosciugata. So bene che valgono gli stessi termini per i colleghi maschietti e non me ne vogliano se, per deformazione, scrivo al femminile.

Dicevo, non è solo in quel preciso momento che riprometto a me stessa di smettere di tradurre, di abbandonare le parole scritte e votarmi ad una causa migliore. Come quella di aprire un chiosco di piadina  per esempio (o di gelati, toh!). Perché no? All'aria aperta avrei continui scambi umani e nessuna paranoia per la giusta punteggiatura.

Ecco, io ripeto a me stessa di capitolare, anche tutte le volte che guardo le tariffe offerte o quando tiro un sospiro di sollievo per l'arrivo del (generalmente misero) bonifico pagato a sessanta-barra-novanta giorni fine mese. O ogni volta che invio una candidatura con tariffario e non ricevo il becco di una risposta. Oppure sì, ma mi si suggerisce di ritoccare le mie, già modestissime, richieste. Non esistono assunzioni, esistono solo collaborazioni. Per non parlare delle proposte editoriali a cui, nove volte su dieci la risposta è da cercarsi su Chi l'ha visto?

Vogliamo poi discutere della solitudine del traduttore? O di come sia difficile condividere con amici, conoscenti e compagni di vita, il concetto di "ricerca della definizione esatta". O del perché rendere la frase al meglio, restituire lo stesso spirito, lo stesso identico stile, richieda spesso (se non sempre), il giusto stato d'animo. Appunto! Come condividere simili crucci senza risultare affetti da paranoia grave?

Sorvolo sul pensiero di chi ti vede come un dizionario vagante e di chi ti chiede "il favore" di dare un occhiatina ad un documento arrivato oggi-oggi dalla Germania. "Se magari me lo riassumi a voce, dato che per te è facile". (E non esagero, c'è chi davvero me lo ha chiesto!)...

Per tutto questo e per altri motivi, che non ricordo ora ma che esistono, io mi riprometto sempre più spesso di arrendermi e mettere la testa a posto. La crisi d'identità dura qualche oretta, qualche giorno. A volte intere settimane. Poi però, torna fuori la mia natura. Io non smetto di pensare in due lingue, a volte tre. Mi scopro a leggere i foglietti illustrativi in tedesco e in francese. Torno da scuola (eh no! non vivo di sole traduzioni) stanca ma felice dei miei corsisti e di essere riuscita a trasmettere loro la passione per le mie lingue. Ed è a quel punto che per l'ennesima volta mi arrendo alla triste realtà. La mia è una vera e propria dipendenza. La mia missione è fare da ponte. Destino comune fra i linguisti. E finché sarò mossa dalla profonda passione, io continuerò ad affascinarmi, aggiornarmi, consumarmi e crogiolarmi con una parola. Fin quando sarò mossa dallo stesso amore io, non smetterò di tradurre.
Non riuscirei neppure volendo.



Sono la traduttrice delle novelle "L'Elmo di Ade", "Ifigenia", "Ecaterini" di Patrice Martinez. Ho curato la traduzione della nuova edizione di "Lettera a un ostaggio"di Antoine de Saint-Exupéry.
"Mai fidarsi di un gigolò" di Birgit Kluger, è il mio primo romanzo tradotto, pubblicato e venduto su Amazon .
 Ora sono alle prese con un secondo romanzo dell'autrice Birgit Kluger.
 Insegno lingue negli istituti privati e mi occupo di traduzioni tecniche. Sono mamma di Emanuele e fino a quest'estate avevo anche un altro bellissimo lavoro...no, non mi annoio (quasi) mai.





Link della pagina di Birgit Kluger:

                                                        




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